Disturbi psicologici o medici? Lo psicologo di base può aiutarti a capire.

Dott. Giorgio ConteCuriosità, Psicologia, Ricerche

Avete mai avuto la sensazione di essere trattati dal vostro medico di base come dei “malati immaginari”? Quante volte, uscendo da quell’ambulatorio, avete dovuto comunque fare i conti con ansie, dubbi e paure? Una ricerca che ha contribuito notevolmente alla rivoluzione della considerazione scientifico-politica sul sistema sanitario ha dimostrato che circa il 70% delle malattie presentate al medico di base dai pazienti hanno una radice psicologica. La psicosomatica contemporanea, branca di studio a cavallo tra la psicologia e la medicina, si occupa proprio di questo, producendo una vasta gamma di ricerche e sperimentazioni. “Umanizzare” la pratica medica, può voler dire anche mettere fisicamente nella stessa stanza medici di base e psicologi. È quello che per 10 anni ha fatto il Professor Luigi Solano, docente di Psicosomatica della facoltà di Psicologia all’Università la Sapienza di Roma, che racconta: “La nostra esperienza ha aiutato molte persone a scoprire che spesso la malattia è strettamente collegata alla particolare situazione che si sta vivendo. E questo può avere un effetto molto più potente di qualsiasi farmaco”.
Continua il professore: “Bisogna partire da due considerazioni: da una parte i medici fanno sempre più fatica a occuparsi del paziente in quanto persona, e quindi ad accogliere tutta quella quota di disagio (che ormai è stimata almeno al 50%) che pur presentandosi come somatico, nasconde in realtà tutt’altre origini, che sono di natura psicosociale. Dall’altra bisogna fare i conti con i pregiudizi molto forti che ancora gravano sulla psicologia clinica. Dal medico siamo abituati ad andarci tutti. Ce l’abbiamo da quando nasciamo, e ci viene assegnato gratuitamente. Con l’idea che siamo anche tenuti ad andarci quando stiamo male. Dallo psicologo, invece, c’è l’idea che ci vanno solo alcune persone un po’ particolari. Il risultato è che, parafrasando la famosa battuta di Woody Allen: “Si va dallo psicologo soltanto dopo essere stati a Lourdes”. Lo studio medico quindi ci è sembrato il luogo elettivo per inserire la figura dello psicologo di base, con il compito di affiancare il medico e raccogliere la domanda di tutti coloro che si presentano. Questo ci consente di intervenire nelle prime fasi del disagio”.

L’esperienza è stata condotta all’interno della Scuola di specializzazione in Psicologia della Salute dell’Università “La Sapienza” di Roma, che dipende dal Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, ed è stata svolta come forma di tirocinio per gli specializzandi. Si tratta di psicologi laureati e abilitati che io supervisiono regolarmente, discutendo tutti i casi.
Questa esperienza è andata avanti per più di dieci anni. Hanno partecipato 11 psicologi, sono stati coinvolti 8 studi medici, ciascuno per la durata di 3 anni.
Lo psicologo è presente una volta a settimana nello studio medico e vede tutti i pazienti, tranne quelli che fanno esplicita richiesta di essere visitati unicamente dal medico (questa evenienza si è presentata solo 4 volte). Questa impostazione si è dimostrata già sufficiente per produrre dei risultati e degli effetti.
Lo psicologo ascolta quello che la persona dice e interviene nel contesto della visita. In alcuni casi, non frequenti, propone degli incontri a parte (al massimo dieci) durante i quali sviluppa il problema insieme alla persona. In un numero ancora più ridotto di casi si arriva a fare un invio il più possibile corretto a specialisti della salute mentale.

Lo scopo, secondo il ricercatore, non è primariamente quello di curare le persone, ma di dare un senso al sintomo che viene portato, soprattutto se esso è di natura somatica, all’interno del contesto di vita della persona. Questo è nella maggior parte dei casi sufficiente ad arrestare un percorso medico che porta a spese inutili, a un’etichetta di malato, o addirittura – quando la persona non trova ascolto – a una escalation di disturbi sempre più gravi. Il senso primario di questo lavoro è far sì che la persona esca dallo studio medico non pensando di avere una malattia ma pensando di avere un problema.

Immaginiamo che un paziente vada dal medico e dice: “Da un mese ho delle vertigini, vorrei fare una Tac”. Se questo problema non trova un ascolto adeguato, il medico prescriverà la Tac. Se disgraziatamente questa dovesse rilevare qualche reperto casuale, si rischia di arrivare a sottoporsi a ulteriori e più invasivi esami innescando un circuito perverso che può rivelarsi anche rischioso per il paziente.

I dati numerici dell’esperienza
In tre anni ogni psicologo ha registrato l’incontro con 700 persone su 1500 circa. Tra queste è stato riscontrato un disagio psicosociale a volte anche piuttosto serio nel 40-60% dei casi. Questo dato corrisponde alle stime della quota del disagio non di origine organica che arriva al medico di base che sono sempre state fatte, a cominciare da Balint negli anni ‘50. Il disagio riguarda per lo più problematiche coniugali, familiari, tra genitori e figli, le dinamiche con la famiglia di origine o le problematiche legate alle fasi del ciclo di vita: scuola, lavoro, pensionamento. Insomma, tutti i passaggi cruciali della vita.
Ciascuno psicologo è riuscito ad effettuare un centinaio di interventi con risultati abbastanza soddisfacenti. Si tratta di numeri che non hanno niente a che fare con l’utilizzo che viene fatto comunemente della psicologia, che finisce per occuparsi quasi esclusivamente dei casi che richiedono un lavoro molto approfondito. Nel nostro esperimento invece può essere sufficiente un intervento molto limitato per cambiare il corso degli eventi.
Ad un certo momento, però, sono mancati i fondi per proseguire questa ricerca e i rapporti terapeutici hanno subìto un’interruzione. Questo è stato un bel problema. I pazienti, ma anche i medici, sono stati molto dispiaciuti. Tuttavia non si è riuscita a trovare una forma di retribuzione che consentisse di prolungare la permanenza degli psicologi. Ma la ricerca ha comunque fornito dati molto interessanti:

I risultati sensibili di questa ricerca sono stati:

– riduzione dei costi al SSN pari del 20%;
– riduzione della sola spesa farmaceutica, a carico pazienti, di 75.000 euro l’anno, rispetto a una spesa totale di circa 400mila euro;
– sensibile miglioramento di patologie legate a disturbi psicosomatici e psicologici;
– incremento della fiducia nel rapporto psicologo/terapeuta – paziente.

Un’altra recente inchiesta dell’Ordine degli psicologi del Lazio ha mostrato che solo il 5% delle persone è mai entrato in contatto con uno psicologo nell’arco dell’intera vita, comprese tutte le occasioni di formazione, selezione aziendale e così via. Si tratta di una quota bassissima. In una situazione così difficile, nel momento in cui lo psicologo sta lì per tutti, e non si corre il rischio di venire etichettati, cambia tutto. Le persone si sentono improvvisamente legittimate a parlare di cose che non siano il disagio somatico e i sintomi.

Bibliografia e sitografia
Solano L., Dal Sintomo alla Persona. Medico e Psicologo insieme per l’assistenza di base, Milano, Franco Angeli 2011
http://www.ordinepsicologilazio.it/binary/ordine_psicologi/h_notiziario_psicologi/10_psicologo_e_medico_di_base_Insieme_e_meglio.1262172629.pdf
http://www.altrapsicologia.com/lazio/solano-psicologo-di-base/2013/11/

Articolo in parte tratto da “Il fatto quotidiano” del 6 ottobre 2010.