Timidezza eccessiva

Dott. Giorgio ContePsicologia

La timidezza è un disturbo benigno che si può superare naturalmente. A volte però, nei casi estremi, può rovinarci il nostro vivere quotidiano, provocando sofferenze a livello psicofisico ed emozionale; in questi casi la timidezza diventa un problema di salute che bisogna curare, prima che conduca all’isolamento o alla depressione.

Come e quando si manifesta la timidezza eccessiva
Le sue manifestazioni sono al tempo stesso fisiologiche e psicologiche: il viso si infiamma, le mani sudano, la voce inizia a tremare, si avverte anche un aumento del battito cardiaco e la paura di essere giudicato male prende il sopravvento… Dal punto di vista psicologico, il timido si sente paralizzato, incapace di qualsiasi reazione, con l’attenzione focalizzata sull’oggetto della sua paura. Evita il contatto, si sottovaluta. Nei casi estremi immagina che gli si voglia fare del male proprio a lui… Queste sono alcune sensazioni che capitano alle persone con eccessiva timidezza nei contesti in cui sono alla presenza di persone estranee, o su di cui si vuole fare una buona impressione. Il timido, consapevole dell’evidenza del suo stato d’animo, tende ad evitare contatti esterni alla sua cerchia di amici fidati e parenti entrando in una sorta di circolo vizioso, in cui per paura di essere scoperti nell’imbarazzo, si preferisce nascondersi dietro parole e atteggiamenti altrui quando, invece, si avrebbe tanto da fare e da dire. Si capisce, dunque, quanto la timidezza influisca negativamente i principali aspetti della vita quotidiana di una persona. La paura di prendere l’iniziativa può impedire l’inizio, o il proseguimento iniziale di una relazione amorosa; la tendenza a non esporre le proprie idee e le proprie capacità, può intralciare il percorso professionale e la paura di scontrarsi con gli altri per far valere i propri diritti e ragioni, può portare all’isolamento e alla manipolazione da parte dei gruppi di amici e conoscenti.

Perché si manifesta la timidezza
Chi è timido è assillato dall’idea di non essere all’altezza delle aspettative degli altri che a loro volta sono visti come dei giudici. La scarsa considerazione di sé stessi ed un pregiudizio sulla cattiveria altrui è alla base di questo irrazionale terrore di esporsi. Si ritiene che questo avvenga, in un’ottica di determinismo ambientale, poiché il soggetto abbia vissuto da bambino delle esperienze familiari e sociali che lo hanno portato ad avere una scarsa considerazione di se, o semplicemente non lo hanno abituato a sapersi esporre e mettersi in gioco. Famiglie che hanno giudizi troppo severi nei confronti del figlio, o che trasmettono difficoltà ad esprimere emozioni e sensazioni, o anche un contesto scolastico, o sociale dove si ha uno scarso contatto con gli altri; tutti elementi che non abituano un bambino ad esprimere se stesso e a confrontarsi col giudizio altrui. La timidezza, dunque, è composta dal desiderio di piacere / essere accettati e dalla paura di non riuscirci. E’ da considerarsi come un tratto di personalità riconosciuto da tempo come caratteristico dell’introversione e va valutato nel contesto del modo di essere introverso.

Perché la timidezza può essere un ostacolo
Come già accennato nelle righe sopra, la timidezza eccessiva può essere impossibilitante per alcune situazioni quotidiane come parlare in pubblico, approcciarsi alle relazioni amorose, far rispettare la propria personalità sugli altri in modo assertivo, ecc. ma può portare, nei casi gravi, anche al ritiro sociale, o all’evitamento sociale. In questi casi attraverso una consulenza psicologica è doverosa una diagnosi differenziale con il disturbo evitante di personalità, o la fobia sociale, disturbi ben più profondi di un semplice tratto di personalità che rende difficoltoso il vivere quotidiano. Secondo il DSM il disturbo evitante di personalità si manifesta come “Un quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza, e ipersensibilità al giudizio negativo, che compare entro la prima età adulta, ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:

1. evita attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale, poiché teme di essere criticato, disapprovato, o rifiutato
2. è riluttante nell’entrare in relazione con persone, a meno che non sia certo di piacere
3. è inibito nelle relazioni intime per il timore di essere umiliato o ridicolizzato
4. si preoccupa di essere criticato o rifiutato in situazioni sociali
5. è inibito in situazioni interpersonali nuove per sentimenti di inadeguatezza
6. si vede come socialmente inetto, personalmente non attraente, o inferiore agli altri
7. è insolitamente riluttante ad assumere rischi personali o ad ingaggiarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante.”

Cosa fare per guarire dall’eccessiva timidezza
Innanzi tutto rivolgersi ad uno psicologo per appurare con una diagnosi l’entità del fenomeno. Attraverso il colloquio e test di personalità, lo psicologo valuterà la reale entità del disturbo e scegliere assieme al paziente il percorso più indicato. Gli orientamenti più efficaci per questo disturbo sono la terapia cognitivo-comportamentale (TCC), l’analisi transazionale, la terapia sistemico-relazionale.
Alcuni accorgimenti, però, possono essere messi in atto per attenuare gli effetti inibitori della timidezza e vengono descritti di seguito:

1) Aumentare la fiducia in se stessi
Come sopra riportato spesso la timidezza è legata ad un’immagine di sé negativa e ad un pensiero eccessivamente auto-critico. Per orientare la mente in modo positivo prima di ogni interazione sociale si possono utilizzare queste domande:

• Perché parlare con me potrebbe essere stimolante?
• Che cosa potrebbero apprezzare le persone di me?
• Quali caratteristiche possiedo che mi rendono unico?
• Quali sono gli aspetti di me stesso che maggiormente piacciono alle altre persone?

2) Esporsi e migliorare le proprie abilità sociali
Una delle abitudini peggiori che chi soffre di timidezza in genere possiede è quella di evitare le situazioni sociali che potrebbero causare disagio. Purtroppo questa strategia evasiva non fa altro che rafforzare il problema.
Lo psicologo Albert Ellis soffriva di timidezza in particolare durante gli anni dell’adolescenza. Decise di curare se stesso in un modo poco convenzionale. Si sedeva sulla panchina del parco dei Botanical Garden nel Bronx e si metteva a parlare con ogni persona che si sedeva sulla panchina vicino a lui. La sua strategia consisteva nel mettersi in una situazione che lo faceva sentire a disagio per diventare in grado di saperla gestire. Dopo molti tentativi fallimentari diventò più rilassato e notò che non era successo nulla di disastroso. Si può provare quindi a mettersi in gioco in qualche situazione pubblica come la fermata dell’autobus, un parco pubblico, sul treno e cominciare una conversazione superficiale su un argomento neutro, come ciò che accade intorno o qualcosa di interessante nelle notizie locali. Se si ritiene che sia troppo stressante, si può iniziare chiedendo l’ora ai passanti.

3) Stimolare la conversazione
La paura di non sapere cosa dire può essere una brutta bestia. Per fortuna esiste il metodo COCI. Durante la conversazione, se ci si accorge che si sta avvicinando il temuto silenzio ci si può aiutare con le seguenti domande:

Cose in comuneChe cosa abbiamo in comune?
Osservazione C’è qualcosa d’interessante nell’ambiente circostante che posso commentare?
CondivisioneMi è accaduto qualcosa d’interessante recentemente che potrei raccontare?
Indaga Su quale aspetto della vita del mio interlocutore potrei fare domande?

Bibliografia e sitografia
American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text Revision.Edizione Italiana: Masson, Milano.
Ghezzani Nicola: A viso aperto. Capire e gestire timidezza, fobia sociale e introversione, Franco Angeli (2009)
www.ipermind.com/come-vincere-la-timidezza/
www.benessere360.com/combattere-la-timidezza.html
www.psicologia.doctissimo.it/volersi-bene/timidezza/superare-la-timidezza-per-essere-se-stessi.html