Il Mobbing

Dott. Giorgio ConteMobbing, Psicologia

Chi di noi vive o ha mai vissuto la sua vita lavorativa senza conflitti e senza problemi? Allora siamo dunque tutti vittime di mobbing? La risposta è, ovviamente, no. Se il nostro capoufficio arriva in ritardo, arrabbiato perché la macchina l’ha piantato in asso in mezzo ad un incrocio e noi gli ricordiamo che deve fare una telefonata fastidiosa o gli riferiamo l’esistenza di un problema, allora avremmo alte probabilità di venire trattati male e di sentirci feriti, ma non siamo assolutamente vittime di mobbing ma solo di azioni mobbizzanti ossia azioni fastidiose legate a fattori situazionali e quindi momentanee. Solo se il modo di fare prepotente del capo o i pettegolezzi dei colleghi o i comportamenti aggressivi diventano un’abitudine, cioè se le azioni mobbizzanti diventano regolari, sistematiche e di lunga durata si può parlare di mobbing.

Definizione, cause, scopi e conseguenze del fenomeno
Il mobbing è una forma di terrorismo psicologico sul posto di lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte dei colleghi o dei datori di lavoro che arrecano offesa alla dignità ed integrità psico-fisica di una o più vittime fino a mettere in pericolo l’impiego ed a degradare il clima aziendale. Scopo del mobbing è eliminare una persona che è o è divenuta in qualche modo “scomoda”, distruggendola psicologicamente e socialmente così da provocarne il licenziamento o da indurla alle dimissioni (Ege, 1996). Per parlare di mobbing, questi attacchi debbono ricorrere con una determinata frequenza (statisticamente almeno una volta alla settimana) e nell’arco di un lungo periodo di tempo (per almeno sei mesi di durata). A causa dell’alta frequenza e della lunga durata del comportamento ostile, questa forma di maltrattamento determina considerevoli sofferenze mentali, psicosomatiche e sociali (Tomei, 2007). Leymann (1993), considerato l’autore più rappresentativo sul mobbing, sostiene che tale fenomeno può essere espresso con modalità diverse ed indica, pertanto, tre gruppi di azioni mobbizzanti. Un gruppo di azioni tende a colpire la comunicazione della persona mobbizzata, criticando spesso il suo lavoro e la sua vita privata, assumendo così un atteggiamento di esclusione verso il potenziale mobbizzato ignorandone l’esistenza. Invece, il secondo gruppo di azioni tende a colpire la reputazione della persona presa di mira, con la volontà di distruggerla. In questo caso la vittima è umiliata e derisa con pettegolezzi. L’ultimo gruppo di azioni si focalizza sulle prestazioni del mobbizzato, per cui gli vengono affidati compiti umilianti e dequalificanti rispetto alle capacità e professionalità. Vi sono anche dei casi in cui alla vittima non viene affidata nessuna mansione oppure il soggetto viene privato degli strumenti necessari a svolgere l’attività (sindrome della scrivania vuota) o, viceversa, sovraccaricato di lavoro e di compiti impossibili da portare materialmente a termine (sindrome della scrivania piena).
Il mobbing può assumere diverse sfumature di significato a seconda della direzione delle azioni vessatorie: ad esempio se tali azioni partono dall’alto si parla di mobbing verticale (bossing), e si intendono quelle vessazioni esercitate da una persona (anche assieme a dei collaboratori) che ha una posizione gerarchica superiore rispetto alla vittima. Un tipico esempio di mobbing verticale è l’abuso di potere (Giannini, Di Fabio e Gepponi, 2004). A seguire troviamo il mobbing dal basso (o verticale ascendente), come il precedente, esso si basa sulla relazione gerarchica tra gli attori. Questa forma di mobbing, vede il subordinato o comunque chi detiene un potere minore (singolo o gruppo di persone) mettere in atto una serie di vessazioni ai danni di un superiore;
Infine, il mobbing orizzontale viene esercitato da uno o più colleghi nei confronti di un soggetto. Le azioni più frequentemente attuate sono di natura sociocomunicativa, volte all’isolamento della persona vessata dal gruppo e al blocco delle informazioni (Einarsen et al., 1997 in Maier, 2003).

Sintomi e patologie correlate
La vittima del mobbing può presentare una sintomatologia molto varia, costituita essenzialmente da ansia, in tutte le sue manifestazioni, comprese fobie, depressione dell’umore con perdita della volontà di agire, della capacità di progettare il proprio futuro, apatia, disturbi di concentrazione, insonnia, insicurezza ed irritabilità. Inoltre, in alcuni casi, sono caratteristici i segni di iperattivazione della persona, con pensiero ricorrente circa gli eventi negativi di lavoro e incubi notturni. Questi sintomi sono spesso preceduti o associati a segnali di allarme psicosomatico, rappresentati da cefalea, dolori diffusi alle articolazioni e alle masse muscolari, dolori gastrici e addominali, tachicardia, ipertensione arteriosa, attacchi d’asma, palpitazioni cardiache, manifestazioni cutanee varie, perdita di capelli e disturbi dell’equilibrio. Possono infine comparire veri e propri disturbi del comportamento, caratterizzati da reazioni di aggressività verso se stessi e/o gli altri, disturbi alimentari, aumento del consumo di alcolici, di farmaci o del fumo, disfunzioni sessuali ed isolamento sociale (Gilioli, 2000). La depressione e il disturbo d’ansia sono le diagnosi formulate più comunemente, anche se sono frequenti altri inquadramenti diagnostici e precisamente il Disturbo dell’adattamento ed il Disturbo post traumatico da stress.
Il Disturbo dell’adattamento è una risposta psicologica ad uno o più fattori stressanti che conducono allo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali clinicamente significativi. I sintomi devono svilupparsi entro 3 mesi dall’esordio del fattore o dei fattori stressanti. Per convenzione si adotta la diagnosi ogni volta che si verifica una significativa compromissione funzionale nella vita lavorativa e/o di relazione.
Un secondo disturbo correlato alla condizione di mobbing è la Reazione acuta da stress ossia una reazione emotiva acuta che insorge molto presto dopo il verificarsi di un evento fortemente traumatico. La sindrome può presentarsi in forma grave, ma in genere regredisce nel giro di pochi giorni. I sintomi con cui si presenta sono marcate manifestazioni d’ansia, depressione, disperazione, accessi d’ira, condizione di isolamento. Per quanto riguarda invece il Disturbo Post Traumatico da Stress, viene considerato una risposta ritardata e protratta ad un evento stressante o a situazioni di natura eccezionalmente minacciosa o catastrofica, in grado di provocare diffuso malessere. Questo disturbo insorge dopo un periodo di latenza che può essere talvolta superiore ai 6 mesi. Uno dei comportamenti più frequentemente presenti è la monotematica fissazione del pensiero sugli eventi traumatici. Le persone che soffrono di questa sindrome sono infatti costantemente ossessionate dai ricordi dell’evento traumatico che si ripresenta in forme di immagini, ricordi, spesso nei sogni.

Approcci terapeutici e sostegno al disagio da mobbing
Concludendo, l’approccio a tale fenomeno deve essere multidisciplinare e deve coinvolgere diversi profili professionali che sono, rispettivamente, il medico del lavoro, il medico legale, lo psicologo e lo psichiatra. Ai diversi professionisti è affidato il compito di enunciare una diagnosi clinica che fornisca una accurata valutazione della personalità del mobbizzato identificandone, tramite colloqui e strumenti psicodiagnostici i problemi adattativi di personalità, la capacità di interazione con l’ambiente lavorativo e i limiti soggettivi di ipersuscettibilità a stress lavorativi generici. Il tutto, al fine di dimostrare il nesso causale tra l’azione lesiva ed il danno. Rivolgersi dunque a una queste figure è il primo passo per uscire dall’incubo che vive una persona che vive questo disagio.

Bibliografia e sitografia
Fiordemondo L.,(2010) Il fenomeno del mobbing: analisi della letteratura recente. Tesi di laurea; Facolta di Psicologia 1, Sapienza Università di Roma a.a.2009/2010
Cordaro E., (1998) Processo metodologico per la rilevazione del danno alla salute della patologia mobbing compatibile. 71°convegno SIMLII – PAlermo 2008; giornale Italiano Medicina lavoro ed Ergonomia
Cassitto M.G.,(2001) Molestie morali nei luoghi di lavoro: nuovi aspetti di un vecchio fenomeno, Medicina del lavoro;92(1):12-24
Ege H., (1996) Mobbing, che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Pitagora, Bologna
Leymann H., (1993), Mobbing, psychoterror am Arbeitsplatz und wie man sich Dagegen wehren kann, rowohlt, reinbek.
Tomei F., Fioravanti M., Evidence based medicine & mobbing (2007);29:2,149-157

www.psicologiadellavoro.org/?q=il-mobbing-tipologie-del-mobbing
www.altalex.com/index.php?idstr=66
www.benessere.com/psicologia/arg00/mobbing.htm

Per gli appassionati di cinema che vogliono approfondire il tema del mobbing si rimanda alla visione del film “Mi piace lavorare” di C. Comencini (2004). Scheda film disponibile a questo link: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=34821